Ricordo bene l’alzataccia del giorno in cui scattai questa immagine. Partito da casa a notte fonda, arrivai in auto fin dove potevo (vista la neve). La camminata iniziava quindi da una strada che attraversa una fitta pineta dove ero riuscito ad arrivare e parcheggiare. Avrò impiegato un quarto d’ora solo per decidere di scendere dall’auto: l’essere da solo, un freddo cane, una fitta nebbia, il buio pesto e l’infinito silenzio di quel luogo mi mettevano in una condizione di grande suggestione, e in quei quindici minuti pensai più e più volte di tornarmene indietro.
Alla fine, scesi e montati ramponi e lampada frontale, cominciai a camminare. Ricordo che mi voltavo all’indietro ogni dieci passi, avevo come la sensazione di non essere solo. Arrivato a un certo punto, vedendo che la nebbia non mollava di un millimetro, decisi di tornare indietro ma prima, come per istinto, guardai in alto un’ultima volta e vidi (almeno credo) una stella per una frazione di secondo. Significava che la nebbia era bassa e che in quota avrei trovato il sereno.
Mi rimisi in marcia e, finita l’ascesa, mi si presentò un panorama veramente fuori dal comune. Le affilate creste dei Sibillini squarciavano come lame la fitta nebbia che correva e traboccava come fa la schiuma da un boccale di birra spillato come si deve. Di sicuro il supporto di strumenti adeguati è necessario, ma spesso quello che rende magica una foto è la storia che c’è dietro.
Per me questa foto urlerà sempre: “Provaci!”, sempre, comunque, fino in fondo, anche quando tutto sembra andare male, anche quando sei incerto, anche se è scomodo, faticoso e, perché no, anche se a volte è un po’ rischioso.
Febbraio 2014 – Parco Nazionale dei Monti Sibillini, Italia