Monti Sibillini
Non c’è luogo senza genio
dalla rivista Asferico n.71 – testo di Irene Maria Bakkum – Fotografie di Photonica3
Monti Sibillini sono una creatura piuttosto giovane, sono emersi dall’acqua solo un milione di anni fa crescendo e sviluppandosi tra variazioni climatiche, erosioni, terremoti e coabitazioni. Oggi vediamo dei monti che raccontano una storia in cui natura e geologia si intrecciano indissolubilmente con la storia degli uomini.
Questa catena montuosa che si estende tra le Marche e l’Umbria ha un’anima di rocce calcaree che si innalzano in cime che spesso superano i duemila metri. Le alte vette sono concatenate da altipiani, verdi valli fluviali, forcelle e passi che, nei tempi delle grandi transumanze, garantivano il passaggio di uomini e greggi. La presenza umana tra queste montagne ha contribuito largamente a declinarne l’aspetto attuale e a tesserne la complessa trama di storie e leggende.
Una fitta rete sentieristica parla di uomini abituati a muoversi secondo le necessità del lavoro stagionale mentre le praterie secondarie e la scarsa presenza di bosco ad alto fusto ci raccontano di pascoli e usi civici che, nelle zone di montagna, hanno garantito la permanenza di diverse comunità anche durante i periodi di grande esodo verso le città. I borghi dei Sibillini, seppure terribilmente segnati dalle scosse di terremoto del 2016, raccontano di una civiltà umana ricca e fiorente che ha fatto dei doni della montagna, dall’acqua, della legna e del pascolo la sua grande ricchezza. Gli abitanti di queste montagne hanno sempre condiviso le ricchezze della terra con gli animali selvatici e con i grandi predatori. Le aquile reali abitano stabilmente questo specchio di cielo, le zone più inaccessibili del Parco sono state una delle ultime roccaforti di resistenza del lupo appenninico forgiando relazioni con intere generazioni di pastori e cani da guardiania, l’orso marsicano oggi non è ancora considerato stanziale ma le incursioni di maschi in dispersione sono accertate da avvistamenti e fototrappole.
Anche la storia del camoscio appenninico e del cervo nobile hanno origini lontane, ed oggi, grazie ad oculate reintroduzioni, godono entrambi di ottima salute ripopolando pareti rocciose, boschi e radure insieme a caprioli, cinghiali e tanti altri mammiferi e uccelli.
La vegetazione arborea varia a seconda della quota: mentre fino ai 1.000 metri dominano roverelle, carpini neri e ornielli, al di sopra regna incontrastato il faggio. Più in alto ancora, oltre quota 1.700, si estendono vasti pascoli che ospitano piante di pregio, come la stella alpina dell’Appennino (Leontopodium alpinum ssp. nivale), il genepì dell’Appennino (Artemisia petrosa ssp. eriantha), Dryas octopetala, Gentiana dinarica, Viola eugeniae, Anemone millefoliata… Non è un caso quindi che trent’anni fa venne istituito un Parco Nazionale che potesse vegliare, salvaguardare e promuovere questa propaggine di Appennino, annunciazione delle più alte vette dell’Italia centrale, monti azzurri che fecero sognare Leopardi, alture che hanno accolto e custodito Sibille, leggende, tradizioni e culti semidimenticati.
Dire Sibillini significa anche parlare di fate e profezie, misteri e natura selvaggia. Dire Sibillini significa anche aprire la porta che unisce la realtà a percezioni e ad affezioni dello spirito più sottili, ineffabili e profonde e di nuovo, quindi, non è un caso che questi luoghi siano un terreno di caccia perfetto per i fotografi di Photonica3.
Che si voglia credere o no alle leggende che popolano i Sibillini qualcosa di magico rimane. Si può anche non credere alle fate caprine che scendono dalle pendici del monte Vettore per irretire i giovani dei paesi, si può non credere che una Sibilla, profetessa bianca o strega incantatrice, abitasse il cuore della montagna, si può non credere che in fondo al lago di Pilato giaccia proprio il corpo maledetto di Ponzio Pilato ma non si può non percepire la presenza indiscutibile di un Genio, un genius loci, che abita e anima queste montagne. Nullus enim locus sine genio est scrive il poeta Servio, non c’è luogo senza il suo genio. Oggi spesso dimentichiamo la necessità di metterci in ascolto del Genio e di perlustrare oltre il limite delle apparenze per attingere alle Essenze.
Dimentichiamo che non si entra mai in un luogo da dominatori ma da invitati e che le migliori prove di forza sono l’umiltà e l’ascolto. Abitare senza stare in ascolto è la peggiore delle catastrofi perché significa vivere un luogo che perde il suo genio e i suoi significati, un luogo che con il tempo diventa inospitale.
È la voce del Genio che guida Stefano Ciocchetti, Lorenzo Lambertucci, Sergio Paparoni, Marco Gratani e Roberto Verolini.
Ogni angolo di paesaggio nasconde molto più di quello che appare alla prima occhiata; l’ascolto profondo travolge e trascina ben oltre l’ottica puramente descrittiva e fenomenologica per privilegiare una ricerca intima e sensoriale, più antica e ancestrale. Proprio questa forte condivisione d’intenti insieme alla consapevolezza che fotografare può voler dire anche proteggere guidano il team di Photonica3 durante i viaggi fotografici, nelle collaborazioni con il Parco Nazionale e nella scelta di non firmare individualmente le immagini.
Alcuni scatti e storie meritano però una narrativa più puntuale. Un’uscita fotografica ha sempre sorte incerta, si può tornare a casa anche senza aver scattato una foto ed è per questo che la fotografia paesaggistica e naturalistica in particolare chiedono tanta passione e pazienza in un continuo opporsi alla logica del tutto e subito per riscoprire il valore dell’attesa: aspettare è una preghiera e la pratica dell’appostamento e dell’attenzione sono uno stile di vita.
L’improbabile arriva solo se lo si sa aspettare scrive Sylvain Tesson dopo il suo viaggio fotografico con Vincent Munier
Lorenzo e Marco si erano alzati di buon mattino nella speranza di fermare la prima luce del giorno sulla neve nuova quando ecco l’improbabile: su pendenze vertiginose due maschi di camoscio appenninico erano impegnati in un raro scontro fisico per decretare il diritto di accoppiarsi. I due animali erano completamente risucchiati dalla lotta; incessanti corse, inseguimenti turbolenti e un violento cozzare di corna rompevano il silenzio e l’equilibrio del bianco. Eccoci invece con Roberto che ritrova Una notte stellata sul Rodano in un tronco tagliato.
Le immagini arrivano se sappiamo vederle e se il nostro livello di attenzione è in grado di frantumare la prima apparenza delle cose. Una passeggiata non è mai banale se occhio, cuore e pazienza sono in attività e pronti a percepire l’attimo o il ritaglio di realtà in cui il genio si sta manifestando.
Spesso come è successo a Roberto basta cambiare prospettiva, voltarci, capovolgerci o guardarci tra i piedi.
Altro esempio d’attesa e costanza è l’incontro speciale tra Stefano ed un branco di lupi. Anche qui è la neve a fare da cornice alla scena.
Dopo ore di appostamento il maschio alpha si avvicinò abbastanza da permette re un primo piano e concedere un profondissimo scambio di occhiate in cui, anche se per un secondo, gli sguardi s’incatenarono. Nell’immobilità della scena si stavano scontrando e studiando con rispetto e curiosità due mondi separati ma complementari, l’uomo e il selvatico. Alcune fotografie passano attraverso travagli più o meno lunghi e faticosi.
Sergio si era svegliato di notte per catturare un’alba tra le cime innevate. Nonostante il presagio di insuccesso per una nebbia fittissima Sergio accese comunque la frontale e venne ingoiato dal sentiero ghiacciato. Proprio mentre pensava di tornare indietro il suo sguardo sfuggì verso il cielo e, per un secondo, una grande stella apparve appena oltre le nuvole. In cima lo aspettavano le vette affilate che galleggiavano leggere sopra un mare di schiuma.
Parco Nazionale dei Monti Sibillini
Anno di istituzione: 1993
Superficie: circa 70.00 ettari
Regioni: Marche e Umbria Province e Comuni: 4 e 16, rispettivamente Residenti: 13.200
Sede: Piazza del Forno 1, 62039 Visso (MC) t. 0737 961563 / 961014
www.sibillini.net